Storia del nostro territorio

STORIA E TRADIZIONI

Terranova di Pollino: origini e storia

Terranova di Pollino è uno dei paesi più caratteristici del versante lucano del Parco Nazionale del Pollino, e rappresenta una delle porte naturali di accesso al parco. E' un piccolo borgo incastonato nella parte più alta del Sarmento. Qui in base alle stagioni si può godere di colori meravigliosi che regalano ai turisti paesaggi spettacolari.

Prima di inizia a tracciare i principali avvenimenti di questo piccolo borgo occorre fare una premessa: è molto difficile ricostruirne la storia perché pochissime sono le fonti che si sono conservate.

La storia di Terranova di Pollino si intreccia con quella del feudo di Noia, il cui nome originario era Noja che significava terra fertile. Le sue origini risalgono al 1100, ed è stato fin dalle origini un centro culturale ed economico molto attivo, era anche sede di una corte legale.

Nel 1553 il feudo di Noia fu venduto a Fabrizio Pignatelli, marchese di Cerchiara, che fondò San Giorgio e Terranova, nel territorio chiamato Santa Maria la Montagna. Noia divenne così un mandamento, che comprendeva cinque casali: San Paolo, Cersosimo, San Costantino, San Giorgio e Terranova.

Questo nuovo territorio venne fondato per esigenze di popolamento di una zona agricola dove servivano braccia per l'agricoltura e la pastorizia. Il nome originario era Terranovella di Noia, terra di nuova fondazione. Questo piccolo villaggio divenne autonomo intorno al 1595. Durante quest'anno fu fatto un censimento e i fuochi numerati erano 25. 

Terranova di Pollino: città custode dell'arte zampognara

A Terranova di Pollino c'è una complessa cultura musicale incentrata sulla zampogna a chiave e sulla surdulina, che grazie alla presenza di eccellenti maestri esecutori e costruttori continua ad essere viva e pulsante all'interno della comunità terranovese. Per valorizzare, salvaguardare e promuovere questo importante patrimonio immateriale nel 2015 Terranova di Pollino è stata nominata città custode dell'arte zampognara. I repertori, le pratiche musicali e abilità costruttive costituiscono un bene comune da preservare per le generazioni future e un'importante biodiversità culturale. Inoltre la consapevolezza di dover recuperare la propria eredità culturale costituisce un motivo di confronto e di incontro con altre comunità. Grazie a questo rilevante patrimonio immateriale, si creano nelle strade del paese suggestive atmosfere. Ci sono molti studi legati a questa antica arte, e uno dei primi testi in cui si parla dell'arta zampognara è quello di Norman Douglas, scrittore austriaco di origini scozzesi. Nel 1915 Douglas intraprende un viaggio in Italia e pubblica il libro Old Calabria, nel quale racconta dei numerosi viaggi compiuti nel sud della Penisola. Il XX capitolo del libro è dedicato alla festa della Madonna del Pollino. Questa festa rappresenta un'occasione fondamentale di incontro tra le popolazioni dell'area. Douglas riporta nel suo scritto l'esistenza di due tipi di zampogna, e descrive anche la danza con la zampogna, la pastorale. In questa danza uomo e donna hanno ruoli ben distinti: il primo accompagna la danza con battiti di mano, schiocchi di dita e grida, cercando di avvicinarsi alla donna, mentre la donna si muove in base ai passi dell'uomo. Fondamentale è il ruolo della zampogna nel contesto rituale della devozione religiosa. Il suono della zampogna accompagna quasi tutti i riti religiosi, in particolare le processioni dei Santi, nel periodo Natalizio le novene sono accompagnate da questo dolce e soave suono.

A Terranova la zampogna a chiave e la surdulina vengono usate in chiave solista o come accompagnamento al canto. Una delle caratteristiche fondamentali nell'area di Terranova è l'uso della zampogna in chiave solista. Qui sono presenti dei veri e propri laboratori dove è possibile vedere come si costruiscono questi strumenti. Tra i maestri custodi di quest'arte ci sono Leonaro Riccardi e Giuseppe Salamone




Il rito arboreo: la Pita

Un amore tra cielo e terra: un tronco e una cima innestati e innalzati ad immagine di un'unione simboliche. E' il matrimonio dell'albero, simbolo di fecondità e auspicio di abbondanza. Eliade Mircea, storico delle religioni, spiega così il mistero dell'uomo attore e simbolo di un mutamento che lo rigenera attraverso la sua partecipazione alla resurrezione della vegetazione:" il cosmo è simboleggiato da un albero, la divinità si manifesta dendromorfa; la fecondità, l'opulenza, la salute (...) sono concentrate nelle erbe e negli alberi (...). Tutto quello che è, quello che è vivente e creatore, in uno stato di continua rigenerazione, si formula per simboli vegetali. Si ripete l'atto primordiale della creazione cosmica.

Ogni anno i riti di nascita della natura e della vita ripetono l'indissolubile connubio tra sacro e profano. I riti arborei hanno origine nordico-celtiche e hanno radici antichissime. Dal mediterraneo alla Scandinavia, dall'arco alpino alla dorsale appenninica fino in Basilicata, regione che conta la maggiore concentrazione e vitalità di questi riti. I rituali in Basilicata si svolgono in un clima di gioia e serenità. Il trasporto è lento e faticoso. Il ritmo è scandito dalle grida dei bovari. Delle numerose soste del viaggio la più importante è quella per il pranzo con le pietanza tipiche del posto. Il cammino riprende finchè i gruppi che conducono il tronco e la cima si incontrano in paese accolti dalla folla. L'innesto, l'innalzamento e la scalata coronano il sogno d'amore: l'albero della vita può baciare la sua sposa.

Le note delle zampogne suonate dai pastori si propagano per tutte le strade del paese alternate da balli, mentre un abete domina la scena: è questo uno spaccato della festa della Pit' che a Terranova di Pollino ogni anno si celebra il 13 giugno in onore di Sant'Antonio da Padova. È questo un appuntamento dal valore mistico per la ricorrenza religiosa che culmina con la processione del Santo. A differenza degli altri riti arborei lucani quello di Terranova di Pollino non celebra matrimoni tra piante ma resta fedele al copione nella fase del taglio dell'albero nei giorni che precedono la festa. Tra la fine di maggio e l'inizio di giugno le gente del posto si ritrova in piazza, al mattino presto, per incamminarsi verso località Cugno dell'Acero. Qui si abbatte l'abete più alto e dopo averlo sistemato per il trasposto, si fa ritorno al paese. L'abete viene trascinato per le strade del paese con l'ausilio di buoi. Il sottofondo di balli, canti e danze popolari risuona per le strade del paese. Nel giorno di Sant'Antonio da Padova, durante il pomeriggio, il maestoso abete viene innalzato dopo le celebrazioni religiose. Poi si procede con l'arrampicata da parte dei giovani del posto, vince chi arriva più in alto e riesce a staccare un piccolo ramo. 

© 2017 The Crosshairs / Nessuna bacchetta è stata rotta durante la realizzazione di questo sito
Creato con Webnode Cookies
Crea il tuo sito web gratis! Questo sito è stato creato con Webnode. Crea il tuo sito gratuito oggi stesso! Inizia